E’ proprio questo l’interessante principio di diritto ribadito dalla Suprema Corte nell’ordinanza citata. Ma veniamo prima ai fatti: la donna protagonista della vicenda si vedeva revocare l’assegno divorzile a carico dell’ex marito, in quanto – secondo i giudici di secondo grado – non sussistevano le condizioni per il riconoscimento del diritto, in relazione alle condizioni dei due coniugi, nonché “al rifiuto da parte della donna di utilizzare sul mercato del lavoro le proprie capacità professionali” e alla convivenza stabile con un nuovo partner.
A questo punto, la donna proponeva ricorso in Cassazione, ma la Suprema Corte (tra l’altro nel solco di una propria giurisprudenza ormai consolidata, si veda ex multis la sentenza n. 11870/2015), proprio con l’ordinanza n. 14244/2016 si pronunciava rigettando il ricorso, condividendo a pieno titolo la visione dei giudici di merito, argomentando che il ricorso proposto dalla donna è inammissibile e infondato, a causa della mancanza di elementi sufficienti idonei a rappresentare una “situazione di non autonomia reddituale” della stessa, e di “disponibilità di mezzi economici tale da impedire di procurarsi da sola un tenore di vita tendenzialmente analogo a quello goduto nel corso del matrimonio”.
Per tale motivo quindi, la donna si vedeva costretta subire la revoca dell’assegno divorzile, oltre al pagamento delle spese processuali.